La formazione nell’ambito psicologico e sessuologico clinico non dovrebbe mai avere fine ed è con grande piacere che ho iniziato il corso di Operatrici antiviolenza a San Gregorio di Catania capitanato dall’assessora alle Pari Opportunità Giusi Lo Bianco e le altre “Tre Moschettiere” del Centro Antiviolenza Galatea: la presidente avv. Loredana Mazza, la vice avv. Maria Concetta Tringali e la dott.ssa Giusi Scalia, “storica” assistente sociale dell’associazione. Non so se loro sono d’accordo ma secondo me il motto che le “possiede” è proprio “tutte per una e una per tutte”.
Quando le ho intervistate nessuna sapeva cosa avrebbe detto, e tutte e quattro sono riuscite a dire in un minuto cose diverse e tutte importanti come sentirete alla fine dell’articolo. Ho deciso di iscrivermi a questo corso e di essere la loro “cassa di risonanza in situ” delle meravigliose “Moschettiere”, perché non puoi fare la psicologa e la sessuologa clinica, occupandoti principalmente delle donne, dei loro bisogni, desideri, autostima e realizzazione, se non consideri anche il “lato oscuro” della “violenza”: e quando pensi di saperne abbastanza ti rendi conto, soprattutto se ci devi “lavorare”, che non ne sai quasi “nulla”!!!
La “violenza di genere” può essere di diversa natura: fisica, sessuale, psicologica ed economica. Se per le prime tre non avevo dubbi della loro esistenza, per quella “economica” mi era sfuggita questa “sfumatura”, a cui aggiungerei il discorso introduttivo delle avvocate sulla “natura spirituale della violenza” basata sull’abbattimento della “volontà” e sulla produzione delle “emorragie energetiche” che si trasmettono a livello “intra ed inter familiare” , chiamate anche affezioni di “impotenza appresa” e non necessariamente, udite, udite, in linea matrilineare. Cioè un padre “tenero e amorevole”, ma eccessivamente arrendevole, in una situazione familiare di violenza manifesta o implicita in cui la nostra “eroina” si riconosce come “vittima sacrificale”, potrebbe essere un riferimento, “malsano” e non di buon auspicio per l’evoluzione della nostra “felice donna”, quella di cui ci auspichiamo si sia imbarcata in una “sua evoluzione di libertà illuminata”. Ma sto facendo voli pindarici. E qui mi fermo.
L’assessora Giusi Lo Bianco dal 2013 è attiva in questo senso ed è già al suo 3° corso di Operatrici e Volontarie ed è entusiasta, operativa: pensate che per farci innamorare di San Gregorio ci ha donato una meravigliosa copia del libro San Gregorio di Catania nella storia e nella memoria di Alfio Patti, studioso, aedo e cantastorie delle nostre tradizioni. Così ho scoperto nuove realtà e situazioni di un paese limitrofo alla città di Catania, che a volte “perde la sua identità, i suoi confini, il suo territorio”. Così come a volte il corpo, la mente e l’anima delle donne, “perdono la sua identità, i suoi confini, il suo territorio”, di fronte alla disperazione di una società in grave crisi, dove “l’uomo” infarcito solo di “ricariche” malsane sulla sua “ipotizzata virilità” e sulla sua “accertata impotenza”, fa man bassa di film, serie-tv e “sentito dire” tra “passaparola”, “barzellette” e soprattutto “frame porno” di bassa lega. Così la nuova generazione dei Millenials, nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, soprattutto maschile e di conseguenza femminile si è fatta un’idea, (la colpa è sicuramente anche nostra, noi siamo i “bloomers” di appena una generazione precedente), che la donna in quanto “femmina della specie umana, a causa della riproduzione, abbia la necessità di essere soddisfatta in maniera rude e animalesca” secondo i canoni della specie specifica, poiché “gli uomini in quanto maschi”, sono i detentori del tutto e subito, tra eccitazione, erezione ed emissione del liquido spermatico alimentato da una forma più o meno sottesa di sopruso, offesa e umiliazione”.
Di fronte a questa triade “perdita di identità, confini e territorio, ”la “violenza fisica e sessuale” diventa una conseguenza fatale, un orpello strutturato e ben congegnato: il problema è che la donna, o per meglio dire “la parte maschile della donna”, ha interiorizzato questo atteggiamento come: protezione, appartenenza e una vana perdita di controllo, determinata da una vaga deresponsabilizzazione nei confronti del “piacere”.
Sto divagando è vero ma sentire le nostre “donne” di Galatea all’esordio della lezione: “La prossima volta che un assessore mi fa inaugurare una “panchina rossa” lo “inchiodo” alla panchina!”. La minaccia era “implicita”? Cioè “inchiodarlo” alle sue responsabilità di non provvedere ad “una soluzione” secondo i suoi poteri? La minaccia era “esplicita”? Cioè di utilizzare fisicamente un utensile “sparachiodi” affinché il responsabile assessore, capisse la situazione in cui si trovavano le vittime di violenza? Il fatto è che comunque la realtà dei “provvedimenti” nell’ambito dell’educazione, della prevenzione, del “recupero” post “avvenimento” nei confronti di questo fenomeno, cioè “la violenza sulle donne”, è totalmente “fatua”, “effimera”, inesistente e “datata” poiché e legata al 25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, data in cui tutti gli assessori e assessore e financo sindaci e sindacati si sentono nella condizione di omaggiare “le vittime di violenza di genere”: e non dimentichiamo l’altra data fatidica, l’otto marzo!
Data in cui le “donne” sono libere di fare quello che vogliono: uscire tra di “loro” sparlando della loro “meravigliosa” relazione, se ce l’hanno, o sparlare di uomini del passato e sorbirsi consigli preziosi dalle amiche che “non hanno una relazione” e che si ubriacano paventando chissà “quale libertà” e ultima ma non per ultima recente “passione”, andare a vedere gli “spogliarelli di macho-uomini”, per ricalcare esattamente ciò che “eccita” gli uomini, quando alle donne, le neuroscienze hanno fatto passi da gigante in tal senso, hanno “scoperto” che ciò che “le eccita e le rende disponibili, stimolate al piacere e di conseguenza all’orgasmo” è il contesto, la situazione: si chiama “reattività sessuale”, perché abbiamo una diversa organizzazione degli organi genitali, rispetto a quelli maschili, ma questa è un’altra storia.
Così per il resto dell’anno la “violenza sulle donne” diventa fatto di cronaca e per le nostre “vittime”, solo se “rimangono vive” resta il problema di menomazioni, vergogna e umiliazioni in cui la rete parentale e amicale fanno il resto.
“Il giorno del mio matrimonio sarà il giorno più bello della mia vita!” – questa affermazione ribadisce l’avv. Loredana Mazza presidente dell’associazione Galatea, “deve essere eliminata dall’immaginario delle fanciulle!” Non è un caso che ci siano insegnanti nel nostro corso, che la stessa assessora sia un insegnante, molte condizioni culturali cominciano da bambini e bambine quando ancora non sappiamo né leggere e scrivere, ma le immagini, “nel bene e nel male” diventano i nostri obiettivi da perseguire fino “alla morte”. La presidente ci racconta anche a costo di renderci “annoiate”, come dice lei, una serie di procedure più o meno “barocche” per procedere in maniera “sana” ad una denuncia nei confronti di “colui” che avevamo scelto in ricchezza e povertà, in salute e in malattia, da cui ci possiamo congedare solo di fronte “alla morte”, ovvero finché “morte non vi separi”. Hanno voglia le leggi sul divorzio attive fin dal 1970 a dirci quello che possiamo e quello che non possiamo fare: poi sono “gli usi e costumi” che hanno il precipuo ordine che riguarda “la morale cattolica” e il tipo di contratto che ci siamo obbligate ad onorare. “Finché morti non ci separi”: da che cosa? dall’amore? e che cos’è l’amore? l’Amore vero è il rispetto del corpo, delle idee, del sentimento, dell’esigenze dell’uno e dell’altro, della fioritura di entrambi in “un’unione vera fisica e spirituale”, anche la religione cristiana affronta nei temi più “sacri” questa “unione”, la chiama “unione mistica” quando uomo e donna rappresentano “un corpo e due anime” o “due corpi e un’anima” nella frase “essere dei due in una sola carne” (Gen. 2,24). E questo non presuppone “l’abbattimento” fisico e spirituale della “parte” della “nuova carne” non in senso “Carne da Macello” ma nel senso con cui entriamo in “unione e integrazione”, facendo salve le nostre parti migliori da trasmettere alle generazioni successive, come i nostri figli, nipoti, allievi, pazienti, parenti e con chiunque possiamo venire in contatto e possiamo essere utili nell’illuminazione e nel messaggio “cristiano” che possiamo “recapitare”.
Quindi tornando a noi e a quello che ci racconta la presidente, il problema come vedremo nelle lezioni successive, “non è solo la “legge” che ha predisposto a causa nostra e delle associazioni “di genere” una serie di “tutele” nei confronti della “vittima”, il problema è che a volte la stessa “vittima” non si rende conto di esserlo, e che poi prendendo conoscenza di tale stato “ha paura” di andare fino in fondo”.
E poi la vicepresidente, l’avv. Maria Concetta Tringali, ci illumina sul concetto fondamentale e sul distinguo tra “conflitti e violenza”: “Ogni coppia affronta dei conflitti lungo il corso della sua vita. Ma un conto sono i conflitti che possono dirimersi tra supporto psicologico e giuridico, un conto è la violenza. Si parla di conflitto all’interno di una relazione quando i partner entrano in contrasto a causa di divergenze relative a valori, interessi o bisogni individuali e/o familiari. Si tratta di contrasti verbali che possono recare frustrazione o sofferenza, ma che escludono l’uso di violenza fisica o psicologica. Poiché nella conflittualità di coppia il rapporto tra i partner è “paritario”, a volte il conflitto contribuisce a mantenere un equilibrio “omeostatico” della coppia. (L’omeostasi è la tendenza tipica dei viventi a mantenere inalterate le proprie condizioni interne rispondendo alle perturbazioni provenienti dall’esterno, nda). Quindi la conflittualità rappresenta un linguaggio che usa la coppia affinché possano emergere le individualità. Quando il paradigma della parità lascia il posto alla minaccia, si parla di violenza all’uso della violenza fisica o della manipolazione affettiva e psicologica. La violenza sulle donne all’interno della relazione di coppia passa attraverso la dipendenza economica e abitativa. Quindi la conflittualità presuppone che i partner mettano in piedi un’ambiguità relazionale, mentre la violenza al contrario prevede la morte della relazione, della comunicazione e mina gravemente l’individualità della persona. Una delle dinamiche di potere che l’uomo perpetra nei confronti della donna. E così la violenza è premeditata, anche se determinata da fattori esterni (alcool, droghe, psicofarmaci) o da fattori interni psicologici (patologie psichiatriche), crea un danno irreversibile, un dolo, una responsabilità soggettiva e oggettiva se la “famiglia di origine” ne era a conoscenza. Distinguere in maniera chiara la differenza tra “conflittualità di coppia e violenza domestica” diventa necessario per prevenire i comportamenti violenti e far sì che questi ultimi non risultino sminuiti o rilevati come atteggiamenti condivisi da partner piuttosto che subiti dalla donna”.
Interviene la dott.ssa Giusi Scalia assistente sociale del Centro Antiviolenza Galatea: “Per questo è necessario che le operatrici e volontarie vengano “formate” e “informate”. Che la “buona volontà” come direbbe qualcuno, è di grande auspicio, ma che a volte, se perpetrata senza conoscenza e dovizia dei fatti di legge e di prassi, invece di risultare utile, paradossalmente diventa dannosa”.