Nella mitologia greca, Baubo, o Baubò (in greco antico: Βαυβώ), era il nome della sposa di Disaule, un’antica divinità, definita dea dell’oscenità.
Non si hanno molte informazioni riguardanti la divinità, si può supporre che gli antichi greci si ispirarono a culture precedenti, soprattutto a quelle nelle quali erano presenti dee primitive, per così dire, archetipiche della sfera sessuale e della fertilità. Rammenta le divinità femminili neolitiche, misteriose nella loro incompiutezza corporale, talvolta manifestata da mutilazione negli arti e altre volte nel capo, ma indicanti segni di fertilità.
Demetra, disperata per aver perso la figlia Persefone catturata e offerta come sposa al dio Ade, la cercava in continuazione triste e travestita in tutte le terre. Baubo, una vecchia, un giorno le apparve alla casa di Metanira e Celeo; offrì da bere alla dea e mostrò, alzandosi in piedi, il suo ventre alla dea. Di fronte a tale spettacolo Demetra rimase impassibile ma il figlio Iacco, che la accompagnava, rise di gusto riuscendo così a strappare alla madre di Persefone un sorriso, che fu il primo da quando la dea aveva perso la figlia.
Secondo un’altra versione, Baubo era una donna magica molto particolare, perché era priva di testa e parlava tramite la vulva. Intrattenne Demetra, disperata per la perdita della figlia, ballando in un modo alquanto esilarante e raccontando storie licenziose, e inoltre collaborò, assieme all’anziana Ecate e al sole Elio, alla ricerca di Persefone, che alla fine fu rintracciata consentendo così al mondo di rifiorire nuovamente.
Baubò ebbe due figlie, Protonoe e Nisa, e un figlio Eubuleo
Esiste un essere che vive nel sottosuolo selvaggio della natura femminile: la natura sensoriale, la quale reagisce a stimoli quali la musica, il cibo, il movimento, la bellezza, la quiete, l’oscurità. Anticamente veniva chiamata oscenità sacra con la quale si intendeva la saggezza e l’intelligenza nella sessualità. Esistevano numerosi culti dedicati alla sessualità femminile irriverente, la quale si rifaceva a parti inconsce misteriose e sconosciute. Nelle culture matriarcali esistevano dee dell’oscenità, innocenti quanto lascive e scaltre.
Nel sacro, nell’osceno, nel sessuale c’è sempre una risata selvaggia in attesa, un breve passaggio di riso silente, o la risata di una vecchia, o il respiro affannoso che è riso, o il riso che è selvaggio e animalesco, o il trillo che è come una scala musicale. Il riso è un lato nascosto della sessualità femminile; è fisico, elementare, appassionato, vitalizzante e pertanto eccitante. È una sessualità senza scopo, a differenza dell’eccitazione genitale. È una sessualità della gioia, per un istante appena, un vero amore sensuale che vola libero e vive e muore e di nuovo vive della sua propria energia. È sacro perché è così salutare. È sensuale perché risveglia il corpo e le emozioni. È sessuale perché è eccitante e provoca ondate di piacere. Non è unidimensionale, perché il riso si spartisce con se stessi e con tanti altri. È la sessualità più selvaggia nella donna”
La scrittrice Pinkola Estès, nel suo libro Donne che corrono coi lupi, racconta di come di fronte ai racconti delle “dee sporcaccione”, le quali per mezzo della sensualità ottenevano l’affermazione o alleviavano la tristezza, le donne presenti dapprima sorridevano e successivamente scoppiavano a ridere. L’autrice osserva come, prima di passare a ridere, le presenti dovevano mettere da parte la loro educazione e il loro portamento “da signore”, comportamento, questo, che più che farle sentire affermate e indipendenti le opprimevano, soffocandole. Nel riso, sgorgante e fragoroso, la donna inizia a respirare davvero, permettendo alle sensazioni represse di venire alla luce, rompendo le catene messe alla propria natura sensuale. L’importanza di queste dee risiede proprio nella capacità di allentare ciò che risulta troppo stretto e di bandire la malinconia, liberandosi e comunicando con e attraverso il proprio corpo.
Le storie delle dee oscene vengono descritte tramite l’espressione “Dice entre las piernas”, che si traduce “Parla con quel che ha tra le gambe”. Una delle prime storie che ci sono arrivate è giunta tramite un frammento di racconto: la storia di Iambe o di Baubo, a seconda delle versioni. Iambe, secondo la mitologia greca, era un’ancella, figlia del dio Pan e di Eco, una ninfa (secondo altre versioni sarebbe figlia di Celeo, re di Eleusi e di Metanira). Iambe incontrò Demetra mentre cercava disperatamente sua figlia Persefone, rapita da Ade.
L’ancella vedendo Demetra tanto abbattuta provò a farla ridere, raccontandole i suoi motti. Di Baubo, come di Iambe, non si hanno molte informazioni. Secondo alcuni Baubo era la moglie di Disaule di Eleusi che apparve a Demetra sotto forma di vecchia di fronte alla casa di Metanira e Celeo. Baubo offrì da bere alla dea, la quale però inizialmente rifiutò. Baubo allora, alzandosi, sollevò la veste al di sopra del ventre, scatenando il riso di Iacco, che accompagnava sua madre nella ricerca di Persefone. Vedendo l’allegria del figlio, persino la dea sorrise e accettò da bere. Quando il riso aiuta senza far danno, quando riallinea potere e forze, quel riso porta salute. Quando rende le persone contente di essere al mondo, più consapevoli dell’amore e dell’eros, allevia la tristezza e vince la collera, allora è sacro. Secondo un altro racconto, invece, Baubo era una strega senza testa, la quale parlava tramite la vulva e aveva occhi al posto dei capezzoli. La strega intrattenne Demetra danzando e raccontando storie oscene, sollevando la dea per un po’ dal suo dolore e aiutandola, in seguito, nella ricerca, insieme ad Ecate e al dio Elio.
Probabilmente gli antichi greci si sono ispirati alle divinità femminili neolitiche, simboli di fertilità, e alla loro fisionomia grottesca. Sull’aspetto di Baubo è importante sottolineare, sempre grazie all’analisi illuminante della Pinkola Estès, che gli organi rappresentati non sono scelti casualmente. La dea (o la strega) vede tramite i capezzoli, i quali reagiscono alle emozioni, alla temperatura, al rumore. Baubo parla tramite la vulva, simbolo dell’origine del mondo (pensiamo al quadro di Goustave Courbet considerato da molti osceno in termini negativi), della profondità materna, bocca della vita.
Le dee oscene hanno pervaso la mitologia fino ad arrivare in Giappone, diventando protagoniste di miti e di fiabe. Nella fiaba giapponese “La risata degli orchi” la protagonista riesce a fuggire mostrando i suoi genitali, sollevandosi il kimono provocando le risate dei servi dell’Orco. Nel mito di Amaterasu, riportato nel libro dei Kojki, si racconta di come la dea del Sole dopo che suo fratello, dio della tempesta, distrusse le risaie piantate da lei, si ritirò in una caverna facendo precipitare il mondo nell’oscurità.
Per far tornare a splendere il sole la dea Ama-no-Uzume, lo spirito dell’alba e della danza tradizionale bugaku, appese uno specchio ad un albero vicino la caverna, e organizzò una festa durante la quale si esibì in una danza erotica sfrenata che fece ridere gli altri dèi tanto da incuriosire anche Amaterasu, spingendola a guardare fuori. Il suo riflesso la meravigliò così tanto che gli altri dei riuscirono a tirarla fuori dal suo nascondiglio e a riportarla in cielo. É affascinante riportare come una divinità simile venga rappresentata anche nelle chiese medievali d’Irlanda, Inghilterra, Galles e Francia: Sheela Na Gig, l’impudica. Viene disegnata avente gli occhi e la bocca di una rana, mentre con le mani tiene aperta la sua vulva.
Ha una valenza simbolica potentissima: il tempio è il ventre della Dea, luogo di culto e rigenerazione. Anticamente gli attributi sessuali di queste dee non avevano niente di morboso, pornografico e dissacratorio: se ci fermiamo a riflettere, tutta la vita nasce da una vulva. Riprendendo per un’ultima volta l’autrice di Donne che corrono coi lupi, nell’archetipo della Donna Selvaggia, c’è molto spazio per la natura delle “dee sporcaccione”. Nella natura selvaggia, il sacro e l’irriverente, il sacro e il sessuale non sono separati ma vivono insieme come ‹‹immagino io, un gruppo di vecchissime donne ai bordi della strada in attesa del nostro passaggio. Sono nella vostra psiche, vi attendono per mostrarsi, e intanto si raccontano le loro storie e ridono come pazze››