La Teatroterapia (Theater-therapy) viene definita la messa in scena dei propri vissuti, nel contesto di un gruppo, con il supporto di alcuni principi di presenza scenica che derivano dall’arte dell’attore (Orioli W., 2001).
I diversi approcci già sperimentati possono guidare i percorsi di Teatroterapia, ognuno dei quali tende ad attivare uno o più processi di crescita personale e di guarigione attraverso l’uso terapeutico della recitazione. Per esempio l’interpretazione di un ruolo in scena può consentire di esercitare delle parti di sé quotidiane ma che ci si rifiuta di conoscere in prima persona. Proprio inventando “un gioco delle parti” che possono essere vissute attraverso la dimensione sicura del “personaggio” ci si consente di sospendere per un periodo definito le conseguenze delle proprie azioni, ci si può fermare ad ascoltare e rivivere i propri “vissuti” che si generano tramite la rappresentazione. La rappresentazione, “il come se…” tipico della narrazione, assolve così la sua funzione terapeutica che nasce dal consentire la piena espressione e realizzazione di sé stessi, superando pregiudizi e stereotipi, accogliendo parti rifiutate (neglette) della propria storia o di sé stessi che possono essere rimesse in scena nella finzione e riposizionate nel proprio mondo interno. Dopo aver creato un luogo protetto (per esempio un setting dove si simula un palcoscenico e le sedute per gli spettatori) possono essere rappresentate le parti più intime di sé, una persona può scoprire e ristrutturare la propria personalità attraverso il personaggio, lasciando cadere le maschere e accedendo alla propria vera identità, a ciò che può sentire di essere, trovandosi nei panni di ciò che nella quotidianità “non è” e di ciò che in realtà “vorrebbe essere”. L’attività teatrale è un grande strumento per favorire la consapevolezza dentro di noi e nella relazione con il mondo reale. È un indelebile processo di conoscenza e trasformazione che si innesca, come una bomba ad orologeria, attivando le proprie emozioni e dall’espressione nei gesti del corpo. Infatti essendo incentrata sull’uso creativo dell’immaginazione e sull’uso espressivo della dimensione corporea, implica una presa di coscienza ed educazione alla propria sensorialità, all’uso del proprio corpo e della propria voce. La Teatroterapia si può definire come un processo pedagogico di crescita e sviluppo della persona il cui obiettivo è armonizzare il rapporto tra corpo, mente e spirito nella relazione con sé stessi e con gli altri.
L’approccio teatroterapeutico si basa sull’esperienza del teatro del Novecento e sul lavoro dell’attore su sé stesso, utilizzando le metodologie di Stanislavskij, Grotowski e Barba, pur attingendo a testi di tutte le epoche teatrali. Secondo l’indirizzo psicologico, si riferisce alla psicoanalisi freudiana, a Jung per il lavoro sui sogni, sui simboli e sull’inconscio. Vanno annoverati anche gli studi di Winnicott sul valore del gioco e i principi della psicoterapia dinamica (principalmente per quanto riguarda l’esplorazione dei diversi aspetti del Sé).
Per diventare teatroterapeuta occorre una formazione professionale: non ci si può improvvisare né per la parte psicologica né per la parte teatrale. I rischi sono molto alti. Sia da un punto di vista deontologico e sia da un punto di vista correlato alla salute e al benessere del “paziente”, perché se di aiuto, di sostegno, di “terapia” si parla, non si tratta soltanto di mettere in scena i vissuti degli utenti, ma anche di poterli “sostenere” professionalmente, di fronte a situazioni di “crisi” o quant’altro.
Io stessa oltre ad essere psicologa clinica ho frequentato tre anni di scuola di teatro con metodologie di Grotowski e tre anni di stage teatrali della Libera Università di Alcatraz con i grandi maestri Dario Fo e Franca Rame. Il risultato è stata la collaborazione e il training con la compagnia teatrale Banned Theatre e il Teatro Stabile di Catania per la messa in scena di Studio per Carne da Macello, dove la sottoscritta interpretava sia il ruolo di attrice e sia il ruolo di psicosessuologa.