Ultima giornata della ViniMilo 2023 ultima conferenza con degustazione con “Vinum e architettura”. Ultima genialata dell’amica Agata Arancio vice presidente della Fis Sicilia che ha imbastito con un gran cast di imprenditori e professionisti una carrellata che presupponeva una giornata intera di discussioni e di degustazioni su quello che è successo.
Non si può parlare di Genius Loci senza sapere che stiamo parlando di Conoscenza con la C maiuscola e così tutti hanno fatto, ignari dell’intervista altrui, di quello che ognuno ha dichiarato, di cui ha detto le stesse cose, ma in modo diverso. Ciò significa che tutti avevano nell’esposizione del proprio lavoro, un Termine e un riferimento dove il Genius Loci, e quindi il dio Terminus, di cui vi diamo i riferimenti del libro di Marco Della Luna: “Terminus. Il Dio inconscio e lo statuto dell’Essere”, edito da Aurora Boreale edizioni, dove esiste anche una divinità in cui le ricerche degli interventi vanno consacrati. Questo è il mio pensiero: “Se vogliamo uscire dall’oblio di un terra mitica ma maledetta dall’empietà degli individui convinti di avere una verità soggettiva che non troverà eco nel nostro futuro, il fatto che senza saperlo diciamo le stesse cose vuol dire che siamo d’accordo, allora possiamo procedere verso una verità comune”.
Questa è la storia del dio Terminus che per ribellione dei propri confini da Zeus venne punito e assimilato. Tutto ciò che ha a che fare Zeus viene assorbito Zeus è il prodromo della divinità unica ma questa è un’altra storia. Si raccontava che durante la costruzione del tempio le numerose divinità delle cappelle che si trovavano sul luogo scelto, accettarono di ritirarsi, per lasciare il posto al signore degli dèi. Solamente il dio Termine si rifiutò di partire, e si dovette includere la sua cappella all’interno del tempio. Dato però che la sua effigie doveva ergersi sotto il cielo, fu praticata una apertura sul tetto del tempio a suo uso esclusivo in modo che il dio potesse estendere il suo potere all’Universo. Poiché il dio Termine era stato persino in grado di opporsi all’autorità di Giove, alcuni auguri predissero che i confini dello stato romano non sarebbero mai receduti.
Plutarco ci tramanda che Termine era l’unica divinità romana che rifiutava i sacrifici animali e accettava in dono solo foglie e petali di fiori per ornare i suoi simulacri la sua rappresentazione scultorea era semplicemente una pietra o un cippo conficcato nel suolo per dividere diverse proprietà. Di Termine parla Ovidio nel secondo dei Fasti, spiegando le feste in suo onore e ripetendo in forma poetica la preghiera che gli si innalzava.
Il 23 febbraio, ultimo mese dell’anno nell’antico calendario, si celebravano i Terminalia, festa dei termini, cioè delle pietre terminali, su cui si ponevano una corona e una focaccia offerta al dio.
Il re Numa Pompilio, scrive Dionigi di Alicarnasso, ordinò a tutti i cittadini di delimitare i confini dei propri campi ponendovi delle pietre e consacrandole a Zeus Horios (Giove Terminus), e stabilì che “se qualcuno avesse tolto o spostato i confini (horoi) fosse sacro (nell’accezione di Homo sacer) al dio. Che la violazione di confini fosse sanzionata dalla dichiarazione di sacertà è confermato anche da una legge riportata da Festo: “Colui che, arando, abbia sconfinato nel terreno altrui sia sacro, insieme ai buoi che conducevano l’aratro (eum, qui terminum exarasset, et ipsum et boves sacros esse).
In occasione della festività, i due proprietari dei due terreni adiacenti incoronavano la statua con ghirlande e innalzavano un altare grezzo, sul quale offrivano grano, miele e vino e sacrificavano un agnello o un lattonzolo (cucciolo del maiale). La cerimonia si concludeva con il canto delle preghiere al dio.
La festa pubblica in onore di questo dio era celebrata presso la pietra miliare del VI miglio sulla via Laurentina (via che portava a Laurentum), indubbiamente per il fatto che questo fosse il limite originario dell’estensione del territorio di Roma in quella direzione.
Il Terminus centrale di Roma (da dove tutte le strade partivano) era l’antico tesoro del dio sul Campidoglio. Il tempio di Giove, re degli dei, per volontà dall’ultimo re della città, Tarquinio il Superbo, fu costruito sul Campidoglio, previo spostamento dei templi preesistenti. Tra questi v’era anche il cippo dedicato al dio Termine, ma per quanti sforzi facessero, gli uomini non riuscirono a svellerlo. Interrogati, gli àuguri lessero nel volo degli uccelli che il dio Termine rifiutava di essere spostato, cosa che fu considerata come segno di stabilità per la città. Così si decise di lasciarlo all’interno del tempio, costruendo intorno ad esso un sacello, lasciando però aperto il tetto, poiché il dio doveva avere sopra di sé solo il cielo.
Per cui più che un articolo “contenitore”, questo vorrebbe essere un articolo “produttore”, di un saggio con contenuti ed esperienze che lasci una traccia, ribadisco la crescita, che sia determinata dalle vostre esultanti esperienze, esuberanti di talento e tecnica che se lasciate per saggi e per conferenze per gli addetti ai lavori, perderebbero della loro efficacia divulgativa. Perché se non puoi essere valido per “tutti”, ricordati che puoi essere di spunto e animazione per “molti”. E solo così possiamo pensare di salvare la vera Conoscenza e la Memoria. A questo punto vi lascio dei riferimenti del dio “Terminus. Il Dio inconscio e lo statuto dell’Essere”, Termine (lat. Terminus) è un epiteto di Giove, come protettore di ogni diritto e di ogni impegno. Divenne in seguito divinità indipendente che vegliava sui confini dei poderi e sulle pietre terminali. “Sentiamo il tempo scorrere vorace intorno al nostro essere e a tutte le cose, corrodendoli inesorabilmente fino all’annientamento; cerchiamo di rallentare questo processo con la tecnica o di trascenderlo con la fede in un Essere perfetto e immutabile; nel complesso, tendiamo al nichilismo e alla depressione. Ma questo sentire è ingannevole, come pure il rimedio ad esso. Terminus affronta in termini puramente razionali i quesiti basilari dell’esistere e del tempo, del rapporto con l’Infinito, passa in rassegna le grandi risposte di filosofi antichi e moderni, ed apre, con un rovesciamento di prospettiva, la coscienza al divenire quale costituente interno dell’essere, e co-eterno ad esso; e all’essere come puro positivo, esente dal nulla e dalla negazione, non però dal Limite. Mentre l’Essere perfetto e immutabile è un controsenso ontologico”.
Termine fu un epiteto di Giove, come protettore di ogni diritto e di ogni impegno, ma non fu così all’inizio del culto, come molti pensano, bensì fu una sua evoluzione che non ebbe però molto seguito.
Termine era infatti il figlio della grande Madre Aer, da cui l’appellativo di Aeris dato a Giunone, la Dea aerea o celeste era spazio e tempo illimitati, era eterna e infinita come il cielo, immagine della Natura che alberga ovunque. Comunque la Dea partorì, naturalmente da vergine, il figlio Termine, relativo quindi ai cicli stagionali poiché era il figlio-vegetazione della Madre Natura, naturalmente vegetazione annuale, ma in qualità di termine poneva limiti e confini, alla vita e pure alle proprietà terriere. Il Dio poneva dunque un termine, ovvero dei confini alla Dea del cielo infinito, per cui doveva avere i suoi simulacri sotto al cielo. In qualità di Dio che stabilisce i confini si può comprendere l’importanza che avesse nella antica vita agricola dei latini e dei romani per i confini dei terreni e dei territori.
Famoso era infatti il Termine Pubblico che si trovava nel tempio di Giove nel Campidoglio, e sopra di esso esisteva un’ apertura nella volta, perchè nessun Termine poteva stare coperto. La figura del Dio Termine consisteva in una lunga base quadrata, col membro virile al suo posto, sormontata d’una testa di Fauno di Giove Ammone. di Mercurio, ecc. La colonna. Gli antichi, per termine, usavano porre una colonnetta ai confini del terreno.
Re Numa Pompilio nelle sue leggi dichiarò che il Dio Termine vegliava sulla conservazione dei limiti e dei confini, e dopo aver distribuito la terra al popolo fissandone i confini, fece edificare un tempio dedicato al Dio sul colle della Rupe Tarpea. Il Dio venne rappresentato nel tempio come una pietra squadrata, ma in seguito assunse sembianze umane, ma senza braccia o gambe, un’erma insomma, come quelle che si pongono sui confini, come a simboleggiare la loro inamovibilità, e che in seguito spesso raffigurarono Hermes, da cui deriva appunto la parola erma. Ma il culto sembra precedente e antichissimo.
Il 23 febbraio, ultimo mese dell’anno nell’antico calendario, si celebravano le Terminalia, festa dei termini, cioè delle pietre terminali, su cui si ponevano una corona e una focaccia offerta al Dio.
La festa chiudeva infatti l’anno permettendo l’arrivo dell’anno nuovo, ma pure ribadiva i vecchi confini sia dello stato romano sia del privato possessore di terre.
Durante le feste Terminalia si consacravano ritualmente le pietre di confine, e i sacerdoti ne prendevano nota riportando il tutto negli archivi. Come già si è detto, non venivano eseguiti sacrifici cruenti perchè in era matriarcale non se ne facevano, come fa notare lo stesso Erodoto. Mentre anticamente gli venivano offerte, durante le feste, frutta, latte e vino, in seguito gli vennero offerti agnelli o porcellini da latte. Dunque gli usi cambiarono e per santificare il confine si strofinava sul cippo il sangue della vittima sacrificata. Nell’occasione i vicini si invitavano per sanare contese o stabilire legami di amicizia, cosa molto gradita al Dio. I proprietari di terreni limitrofi ponevano ghirlande sul cippo, vi ponevano un altarino su cui accendevano un fuoco che veniva poi spento col vino bruciandovi una piccola parte del cibo della festa condivisa coi vicini. Chi non rispettava i confini veniva perseguitato dalle temutissime Furie. Ora, per gli antichi romani, il rispetto dei limiti territoriali aveva una grande importanza: necessario a garantire pace, sicurezza e prosperità, presupponeva anche la necessità di stabilire il rispetto delle leggi. Insomma, rispettare i “confini naturali di un luogo” corrispondeva a rispettare il diritto e le sue norme, dunque ogni tipologia di altro confine. Celebrare Terminus significava, allora, venerare sì il dio dei limes, ma anche del rispetto, del diritto e degli impegni. Per questo motivo, se all’inizio le sembianze del dio erano per lo più nella forma di cippi o pietre, in seguito divennero umane: un busto senza braccia e senza gambe, simbolo di inamovibilità e, insieme, di rettitudine. Non a caso, lo stesso dio Termine diventò presto epiteto di Giove, secondo un ampliamento semantico che – appunto – arrivò a toccare in maniera trasversale più ambiti, rispetto a quelli strettamente territoriali.
Bastava recarsi presso la pietra miliare del VI miglio sulla via Laurentina. Questo era infatti il limite originario dell’estensione di Roma, almeno in quella direzione, perché se invece ci si voleva muovere in centro, punto o terminus, dal quale si diramavano tutte le strade, era il Campidoglio, laddove Tarquinio il Superbo, eliminando strutture preesistenti, aveva fatto costruire il Tempio di Giove.