Da un lembo di terra alle pendici delle Madonie affiora l’oro nero di Blufi, piccolo centro di mille anime, vicino alle Petralie Soprana e Sottana. Per gli scienziati è un comune olio minerale che sgorga dalla terra, per i devoti, invece, è un unguento miracoloso capace di curare malattie della pelle e usato anche come vermifugo. Fatto sta che la sorgente dell’olio “santo” continua ancora oggi a essere meta di pellegrinaggi, a tal punto che sul posto c’è anche chi prepara delle boccettine piene di “elisir” da portare a casa, quando – soprattutto d’inverno – al posto dell’olio si trova soltanto acqua.
La nicchia perennemente annerita dal grasso, con tanto di bicchiere per prelevare il “prodigioso” fluido, si trova a poche centinaia di metri dal santuario dedicato alla Madonna dell’Olio. Una chiesetta d’impianto settecentesco, ma di origini antichissime, tant’è che nel 1100 esisteva già una cappella e alcune fonti fanno risalire una prima edificazione sin dall’ottavo secolo. A pochi passi, inoltre, si ripete un altro piccolo “miracolo” della natura: un campo di rossi tulipani spontanei che fioriscono ogni primavera. Come spesso avviene in questi casi, ogni luogo “magico” ha la sua leggenda: si tramanda, infatti, che l’olio di questa sorgente fosse prima commestibile, ma poiché qualcuno ne prelevava più del necessario, si trasformò in liquido nero combustibile.
Ma alla base della leggenda, potrebbe esserci un fondo di verità, come racconta don Raffaele Fucà, un tempo rettore del santuario. Dagli storici sembra risultare e dalla bocca di anziane persone s’è appreso che la sorgente dell’olio, prima, era più vicina alla chiesa. Tale sorgente si esaurì nel secolo scorso; e l’affioramento dell’olio riapparve altrove, dov’è oggi, a circa trecento metri dalla chiesa. Dal cambio avvenuto dell’ubicazione della sorgente d’olio, avrebbe avuto origine la leggenda. Delle virtù terapeutiche dell’olio si parla anche in alcune fonti storiche citate da don Raffaele, come un atto del Quattrocento di un notaio della vicina Polizzi Generosa che fa cenno a “certi uomini lebbrosi, ricercati da un regio portiere di Palermo”, che “vennero trovati in terra di Petralia e presso la fonte del petrolio”. Ma anche lo storico catanese del Settecento, Vito Maria Amico, nel suo “Lexicon topograficum Siculum”, fa riferimento a una fonte celeberrima di olio galleggiante che viene raccolto di mattina, viene conservato nei vasi. Vicino c’è la chiesa rurale della Madre di Dio con custodi eremiti.
L’olio è indicatissimo per curare le malattie cutanee, sgorga abbondantemente e viene usato largamente dell’isola. Per questa fonte la città viene chiamata Pietra dell’olio e volgarmente Petralia”. In tempi più recenti, non sono mancate anche ricerche da parte di studiosi e – riferisce sempre il sacerdote – anche di compagnie petrolifere, che avrebbero constatato la presenza di un giacimento abbastanza ridotto. L’olio “santo”, in termini più prosaici, non è altro che un idrocarburo composto da una percentuale di 1,92 per cento di benzina, 33,56 di petrolio propriamente detto e per il resto da solforati come i tiofeni. Le ultime analisi risalgono agli anni ’50 del secolo scorso e furono condotte dall’allora centro sperimentale dell’industria mineraria di Palermo. La presenza di zolfo racconta Giovanni Abbate, chimico dell’Agenzia regionale per la Protezione dell’Ambiente, commentando i dati ne fa un olio minerale che fa bene alla pelle, ma non ne fa un prodotto commercialmente appetibile per l’estrazione e la produzione di benzina così come tutti i petroli che si trovano nel sottosuolo siciliano. Intanto, il via vai di fedeli prosegue, seppur il santuario resti fuori dai grandi circuiti turistico-religiosi. “Sono in tanti a venire qui per raccogliere l’olio, soprattutto in estate e in molti casi anche dall’estero, anche se fino a qualche anno fa la devozione era molto più diffusa. Diverse persone sostengono di essere guarite proprio grazie a questo rimedio. Un dono della natura che fa miracoli”.
L’esistenza di una chiesetta nel luogo dell’odierno santuario è testimoniata sin dall’epoca medievale. Le pietre che stanno all’orlo della predella dell’altare sarebbero del sec. XII, mentre la piccola campana reca incisa la data del 1135. In un manoscritto del 1832 così si legge del santuario: “è fuor di dubbio che quel Santuario è soggetto al Rev.mo Arciprete di Petralia Soprana, che la Chiesa nell’ottavo secolo fu costruita dai fedeli sparsi nell’economie di quelle vicine campagne, e riedificata dalla pietà del clerico D. Francesco Ferrara di detta Petralia nel 1762”.
La denominazione “Madonna dell’Olio” potrebbe derivare dalla vicina sorgente di olio minerale, utilizzato come rimedio per alcune malattie cutanee, ma non si esclude che possa alludere alla presenza di oliveti nella zona in tempi antichi, che avrebbero dato il nome anche al torrente Oliva che lambisce il colle del santuario confluendo poi nel fiume Imera Meridionale in una località chiamata “Oliva” o “Giardini d’Oliva”.
Di questa sorgente si fa menzione sin dall’età classica: Aristotele nel “Meteorologicorum” parla di un liquido salato e acidulo, usato come aceto, che sgorga nel “Sicanico agro”. Chi dice che Aristotele parlasse di questa fonte?
Una leggenda racconta della presenza nei pressi del santuario di una sorgente di olio commestibile che poi sarebbe stato mutato nell’olio attuale perché ne veniva attinto più del necessario. Un cambiamento di ubicazione della sorgente sarebbe avvenuto nel secolo XIX, a causa dell’esaurimento della prima sorgente, più vicina alla chiesa. Sempre a Blufi un fazzoletto di terra antistante il Santuario della Madonna dell’Olio, che a partire dal mese di marzo ogni anno genera dei bellissimi tulipani rossi.
Chi non è a conoscenza di questo evento annuale si starà chiedendo quale sia la particolarità di questa zona: sarebbe un evento del tutto normale all’approssimarsi della primavera, se non fosse per il fatto che i tulipani crescono in maniera spontanea su di un campo fatto di grano, olivi e mandorli il cui terreno è sottoposto a processi di aratura. I fiammeggianti tulipani sembrano infatti non risentire degli interventi umani, poiché i bulbi si trovano a circa 50 cm di profondità. Questa specie di tulipani è definita tulipano precoce (tulipa raddii) ed è di origine ignota; oltre ad essere presente in coltivazione, spesso si trova anche in uno stato subspontaneo, proprio come accade a Blufi.