«Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sì e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.» Platone nel Fedro
L’auriga quindi deve riuscire a guidare i cavalli nella stessa direzione, verso l’alto, tenendo a bada quello nero e spronando quello bianco, in modo da evitare o ritardare il più possibile di “precipitare” nella reincarnazione. Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l’Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi. Questo mito, che serve a spiegare la reminiscenza, è riconducibile all’immortalità dell’anima.
Questa raffigurazione la ritroviamo anche nei tarocchi nell’Arcano maggiore del Carro. Ma l’immortalità dell’Anima subisce questo sistema di “traumi”? Verso il basso verso l’alto verso destra e sinistra insomma, l’anima viene “strattonata” perché “ingenua ed effimera” nel suo canale di espressione.